Il riconoscimento del contagio da Covid-19 in ambiente di lavoro come infortunio da parte dell’INAIL, previsto dal D.L. n.18 del 17 marzo 2020, convertito in legge n.27 il 24 aprile 2020, ha fatto sorgere preoccupazioni e timori in capo ai datori di lavoro circa la responsabilità civile e penale dei contagi che si dovessero eventualmente verificare sui luoghi di lavoro.

Il Decreto Cura Italia stabilisce come “nei casi accertati di infezione da Coronavirus in occasione di lavoro” viene assicurata dall’INAIL la tutela di infortunio, con prestazioni erogate anche in caso di quarantena o permanenza domiciliare fiduciaria, per tutto il periodo di inabilità temporanea assoluta e di astensione del dipendente dal lavoro (o del terzo che si sia contagiato in occasione di una visita sul luogo di lavoro).

Il consolidato principio giuridico che equipara la causa virulenta alla causa violenta propria dell’infortunio (in quanto il contagio viene equiparato alla “malattia”, intesa come “qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell’organismo”), con conseguente copertura economica da parte dell’INAIL, ha però sollevato preoccupazioni in capo ai datori di lavoro circa la responsabilità civile e penale del contagio da Covid-19 nei luoghi di lavoro, essendo la malattia oggetto del reato di lesioni personali previsto dall’art. 590 del Codice Penale.

È noto come, già prima del Covid-19, la legge italiana prevedesse oneri piuttosto gravosi in capo ai datori di lavoro, chiamati a dotarsi, a proprie spese e a pena di incorrere in responsabilità anche di natura penale, di tutti i necessari presidi di sicurezza per lo svolgimento delle attività lavorative, nonché all’adeguata formazione del personale. L’emergenza Covid-19, tuttavia, ha aggiunto un rischio evidentemente imprevisto per le aziende (poiché oggettivamente non prevedibile) e di natura peculiare, che incombe potenzialmente sulla pressoché totalità dei lavoratori e non totalmente eliminabile, nonostante la dotazione di idonei strumenti di protezione individuale.

Al fine di chiarire come i criteri applicati dall’INAIL per il riconoscimento di un indennizzo a un lavoratore infortunato siano totalmente diversi da quelli che valgono in sede civile e penale, l’ente ha provveduto ad emanare la circolare n. 22 del 20 maggio 2020, in cui si specifica che l’ammissione di un lavoratore contagiato alle prestazioni assicurative dell’INAIL non assume alcun rilievo per sostenere l’accusa in sede civile, dove ai fini del riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro è sempre necessario l’accertamento della colpa nella determinazione dell’infortunio, né in sede penale, dove vale il principio della presunzione di innocenza e dell’onere della prova a carico del Pubblico Ministero.

L’INAIL specifica che nel “caso di malattie infettive e parassitarie è difficile o impossibile stabilire il momento contagiante”. Tuttavia, “il riconoscimento dell’origine professionale del contagio si fonda su un giudizio di ragionevole probabilità ed è totalmente avulso da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che possano essere stati causa del contagio”.

Pertanto, non vanno confusi i presupposti per l’erogazione dell’indennizzo da parte dell’ente con i presupposti per la responsabilità penale e civile del datore di lavoro, che devono essere accertati con criteri diversi.

Quindi, quando è ipotizzabile una responsabilità del datore di lavoro per i contagi da Covid-19?

La circolare dell’INAIL chiarisce che la “responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee giuda governativi e regionali”.

Pertanto, il datore di lavoro risulterà responsabile civilmente e penalmente soltanto qualora non abbia adottato correttamente tutte le misure previste dal Protocollo di sicurezza previsto per l’emergenza e da eventuali protocolli regionali.

Per affermare la responsabilità del datore di lavoro non è sufficiente la sussistenza di un caso di contagio all’interno degli ambienti lavorativi, ma deve essere comprovata la colpa di quest’ultimo nella determinazione dell’evento, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore.

È utile ricordare che, in caso di mancato adeguamento alle misure di sicurezza previste dal Protocollo, oltre a essere responsabile civilmente e penalmente di eventuali contagi, il datore di lavoro sarà anche costretto allo stop forzato della propria attività, fintantoché non verranno implementate le adeguate misure anti-contagio.

Di uguale rilevanza risulta essere l’eventuale responsabilità dell’ente, disciplinata dal D.L. 81/2001, che prevede meccanismi sanzionatori a carico della società qualora vengano commessi illeciti dal legale rappresentante della società (o da chi sia investito di poteri di rappresentanza, di amministrazione o di gestione dell’ente), in vantaggio o nell’interesse dell’ente. Nella fattispecie dell’emergenza Coronavirus, laddove venga ravvisata l’inosservanza di prescrizioni in materia di sicurezza sul lavoro che abbiano cagionato delle lesioni o il decesso di un dipendente, l’ente ne verrà chiamato a rispondere ai sensi del D.L. 231/2001, con la possibilità di incorrere in gravi sanzioni, anche interdittive. Ai fini della configurazione della relativa responsabilità è necessario che sussista un “vantaggio” o “interesse” dell’ente, che per la Corte di Cassazione è individuabile anche nel risparmio economico che l’azienda conseguirebbe non fornendo i necessari dispositivi di protezione individuale e non adottando le misure di sanificazione periodica previste dai protocolli anti-Covid.

In conclusione, in assenza di comprovate violazioni da parte del datore di lavoro delle misure di contenimento del contagiorisulta molto arduo ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro. Nonostante questo chiarimento da parte dell’INAIL, tuttavia, resta il timore da parte delle imprese che, per accertare un eventuale colpa e verificare che le misure del protocollo siano state adottate correttamente, si aprano ugualmente lunghi procedimenti penali, con rischio di sequestri e di chiusure forzate delle attività lavorative. A livello politico, su sollecitazione di diversi parlamentari, è in corso il dibattito per valutare un ulteriore intervento normativo che espliciti meglio l’indicazione contenuta nel Cura Italia per l’accertamento di eventuali responsabilità del datore di lavoro.